Natavan FAIG
LA VITA DEI GENI, DI REGOLA, È BREVE E TRAGICA. NON SARÀ PER QUESTO CHE LORO SONO COSÌ GENEROSI NEL CREARE, PERCHÈ HANNO FRETTA DI LASCIARE AI POSTERI IL TESORO DEL LORO SPIRITO, TESORO NON SEMPRE APPREZZATO DURANTE LA LORO VITA? VAGIF MUSTAFAZADEH NON È STATO UN’ECCEZIONE...
Nei suoi ricordi di lui spiccano due sentimenti: l’orgoglio e l’amarezza. L’orgoglio di un compositore e pianista sperimentatore, un musicista, il cui nome è asso ciato, dai critici d’arte, ad una tendenza del jazz di assoluta novità, basata sul sistema musicale azerbaigiano. L’amarezza, non serve spiegarla….
La notizia della sua scomparsa è stata un fulmine a ciel sereno! Vagif, con il suo sorriso un po’ colpevole e con la sua immutabile giacca di pelle, la perla delle serate televisive degli abitanti di Baku (come direttore del gruppo vocale super famoso “Sevil”) è morto?!
Ricordo anche un articolo di uno dei quotidiani principali che uscì come un tuono che rimbombò in tutto il paese: si chiamava “Prima e dopo il necrologio”. L’articolo iniziava con la richiesta di Vagif Mustafazadeh di far parte dell’Unione dei compositori della Repubblica. Dopo veniva citata una risposta contenente, in sostanza, una condanna: “Il Consiglio direttivo dell’Unione dei compositori dell’Azerbaigian si è astenuto dall’accettare V. Mustafazadeh come membro dell’Unione perchè lui non è laureato”...
Mi ricordo molto bene quel suo sorriso. Ricordo come lui accompagnava la sua bambina a scuola era la metà degli anni 70. Bisognava vedere come la salutava; perché si staccava da lei per una intera lunga giornata; come, chinandosi, le allacciava accuratamente le scarpe, sistemava un fermaglio nei capelli... Infi ne, dandole un bacino sulla guancia, si allontanava, girandosi di continuo e seguendola con gli occhi. Arrivato al portone della scuola, improvvisamente la chiamava: “Non ho dimenticato nulla?” Con gli occhi furbetti. La bambina scrollava la testa, ma lui le correva contro, la baciava ancora e se ne andava...
Non si può dire che la sua vita scorreva in silenzio. Scrivevano molto di lui, ma più che altro come di un pianista, un strenuo diff usore della musica jazz. Ecco una delle recensioni del suo concerto da solista di quelli anni: “Grazie alla brillante tecnica e al talento multisfaccettato, Mustafazadeh, come un manipolatore, traslava lo spettatore nel tempo e nello spazio del jazz, dal mondo romantico, con un leggero lirismo di George Gershwin, nelle forme urbanistiche della sua composizione “Il giorno d’oggi”, dallo sciabordio tratteggiato del pezzo di Thelonious Monk nelle profondità inconcepibili dell’armonia di “Sette bellezze” di Gara Garayev. In queste traslazioni, Mustafazadeh non si smentisce mai: in nessuna composizione, nemmeno per un millesimo di secondo, lui non perde la fi ne bravura dell’improvvisatore che concilia nel tessuto delle opere classiche di jazz una originalità e una freschezza della propria stilistica musicale”.
Le sue esibizione feeriche provocavano sempre un uragano di entusiasmo. La sala languiva con una attenzione religiosa, quando lui, Vagif, creava il suo, sempre unico, arrangiamento. Il grembo del pianoforte sembrava aprirsi con una forza dell’animo e della personalità, mai vista fi nora. Lui, come nessun altro, sapeva padroneggiare la propria furiosa artisticità mettendola al servizio della ragione e dell’energia. Era un vero talento del suonare, con il suo stupefacente temperamento che variava dal lirico poetico all’esplosivo indomabile.
La star del jazz mondiale... Lui era una star? Senz’altro lo era, ma lui non era come quelli di oggi, che per far parlare di sè, hanno bisogno periodicamente di uno scalpore, uno scandalo, un epatage che attiri l’attenzione.
Vagif faceva a meno di tutto questo. Ma non ne facevamo a meno noi, i suoi ascoltatori. Un ragazzo, affascinante nella sua semplicità, così è rimasto lui nella nostra memoria, modesto, passato spiritualmente illeso dalla tentazione della celebrità... Ma, appunto, c’è stata davvero questa celebrità?
L’originalità spaventa. La gente di tutti i tempi ha sempre guardato con sospetto il nuovo o l’insolito. La non comprensione genera il rifi uto, brusche valutazioni, l’odio, il rancore. L’individualità signifi ca vedere diversamente; il che, come si sa, si accetta di rado. Dalla non comprensione alla negazione c’è un passo solo...
Vagif, le cui brillanti composizioni vengono eseguite oggi da tutto il mondo musicale, non fu ammesso all’Unione dei compositori. “Non è laureato...” Si potrebbe pensare che si trattasse di un novizio nella musica. All’epoca lui era l’autore di molte composizioni famose nel nostro paese, interpretate in Polonia, Francia e altrove. Solo la maggiore casa discografi ca sovietica “Melodia” pubblicò nove dischi con le sue opere interpretate personalmente. Alcune settimane prima della morte lui presentò al grande direttore d’orchestra azerbaigiano Niazi un suo concerto per pianoforte e orchestra. Collaborò con il teatro, scrisse musica per i documentari. La composizione di Mustafazadeh “Aspettando Aziza” ricevette il primo premio al VIII Concorso internazionale dei compositori jazz a Monaco nel 1979. Vagif è stato il primo compositore dell’URSS salito sul podio di questo importante forum musicale. No, lui non era un novizio nella musica, ma nonostante ciò non fu trovato per lui un posto nell’Unione dei compositori..
Ora di lui dicono che è stato un evento epocale nella vita culturale del paese, ma allora era “un non laureato”... L’implacabile moria della stagnazione quando la burocrazia emanava i suoi verdetti.
Oggi noi proferiamo una nobile ira sui loro fi gli che non vogliono tornare in patria. Loro, i testimoni diretti dell’inquisizione alla sovietica, invece hanno il diritto di off endersi….
Essi partono per non ripetere l’esperienza amara dei propri padri ed evitare il male creato dai loro, non meno geniali, invidiosi. Perchè non è facile non accorgersi, quando è impossibile non accorgersi! Anche questo è un dono. Ma come era possibile “non accorgersi” della slavina indomabile e sbalorditiva delle composizioni di Vagif Mustafazadeh?! Gli invidiosi dovettero “lavorare” senza tregua.
I fi gli partono incalzati dalla paura a livello genetico per il proprio destino, il destino dei fi gli dei grandi genitori. Perchè se la ricordano, l’era dell’alienazione... Si ricordano quella solitudine assoluta, cosmica, glaciale... Non credono nella nostra penitenza. Come non credono nelle rivelazioni commoventi degli “amici che ricordano”, come se avessero preannunciato all’artista ancora in vita la sua immortalità. Queste “rivelazioni”, poi, non sono altro che fantasie rese sonore.
“Una scoperta più è originale, più sembra evidente a posteriori”, diceva Arthur Kestler. L’esempio di Vagif Mustafazadeh ne è una conferma. Siamo ormai abituati all’esistenza di un jazz azerbaigiano, come se fosse sempre esistito, dimenticando che, per molti anni, non è stato eff ettivamente possibile emergere per alcun artista non americano, dire qualcosa di nuovo in assoluto nel jazz. In poche parole, l’elitè dei padri del jazz sembrava un baluardo inaccessibile. Oggi sì che, grazie alle opere di V. Mustafazadeh, il termine “jazz azerbaigiano” esiste ed è registrato nei cataloghi musicali. Il mondo deve a lui, a Vagif, questo fenomeno.
A essere giusti, dell’enormità della perdita, ce ne siamo resi conto solo un anno dopo la sua scomparsa. Mi ricordo un programma televisivo per l’anniversario della sua morte. Ma no! Certamente, lui conobbe il successo anche da vivo. Il successo accompagnò ogni sua esibizione. La sua popolarità aumentava con sorprendentemente velocità nell’ex URSS, come all’estero. Le sue improvvisazioni infuse delle bellissime melodie nazionali suonavano per la radio e la TV. Ma lui comparve davanti a noi in tutta la sua grandezza artistica solo dopo la morte. In sostanza, il vero riconoscimento è iniziato da quel programma postumo. Iniziarono a chiamarlo “il fondatore del jazz azerbaigiano”, pubblicare le opinioni su di lui dei maestri della musica jazz mondiale. Durante una serata fu una metamorfosi nell’immaginario collettivo: V. Mustafazadeh, l’Artista riconosciuto dalla Repubblica di Azerbaigian, è diventato improvvisamente un fenomeno a livello mondiale. Così i compatrioti seppero il valore reale di un loro contemporaneo.
“Mustafazadeh è un pianista di classe superiore. E’ diffi cile trovarne uno nel jazz alla pari di lui”, scrisse un famoso musicista e critico d’arte amerivano V. Conover. “E’ il pianista più lirico che abbia mai sentito.” Il pianista jazz svedese B. Juhansson diceva delle composizioni di Vagif: “La sua musica è sorprendentemente contemporanea, ma allo stesso tempo è piena dei misteri delle antiche melodie caucasiche cantate da molte generazioni dei poeti. E’ una fi aba raccontata da Scheherezade nella 1000 e una notte!”
Lui fu un titano nell’arte e assolutamente inerme nella vita. Come tutti i segnati da Dio, non fu pratico e talvolta assolutamente incapace di risolvere i problemi più elementari della vita. La vulnerabilità, il disordine quotidiano cronico che lo portava allo sconforto interiore, le ricerche di un lavoro che gli piaceva per guadagnarsi la pagnotta... Una vita al limite della tensione nervosa conduce inevitabilmente ad un fi ne drammatica.
Vagif è morto nella città di Tashkent. Sul palcoscenico, al pianoforte. “Aspettando Aziza”, così si chiamava la sua composizione d’addio dedicata alla fi glia.
“L’arte non è un risultato, è un atto di creatività”, dicono i francesi. Pensando a quel lontano concerto a Tashkent, capisci l’indubbia ragione di queste parole. Nel caso di Vagif, l’atto di creatività è diventato un atto di sacrifi cio, quando il palcoscenico si trasformò in un’arena di lotta tra la vita e la morte... Già!
Già quasi un terzo di secolo che lui non c’è più. Il cuore di questa persona unica e tragica ha cessato di battere nel 1980. Non c’è più il Maestro, con le improvvisazioni virtuose che ridettero la vita al mugham- E’ morto all’apice del suo talento eccezionale. Non aveva ancora quarant’anni...
Da sempre la città di Baku si è distinta per l’amore particolare verso la cultura del jazz. Anche oggi ci sono tanti musicisti di questo genere tanto amato. www.irs-az.com.
Tra di loro ci sono dei maestri, il loro jazz è di qualità, standardizzato, anche se a volte non manca di fantasia creativa. Ma, credo, non possano aspirare a grandi successi, perchè V. Mustafazadeh aveva un tale livello sbalorditivo che, ascoltandoli, anche a quelli con grande talento, manca sempre qualcosa. Manca quella individualità particolare e la vera artisticità. Forse, perchè il jazz non può essere un prodotto di massa creato per la soddisfazione di un ascoltatore medio. Con Vagif abbiamo visto un altro jazz e un altro jazzman che bruciava di jazz e dello stesso si è bruciato! Le composizioni simil jazz (o pseudo jazz) si riconoscono subito dai primi suoni, perchè l’abilità creativa non è un’ispirazione.
Lui ricoprì nella sua creatività molti ruoli: compositore, arrangiatore, interprete musicale, improvvisatore. Ma, credo, che il suo merito principale si stato nel creare l’immagine del jazzman azerbaigiano!
Sono passati molti anni. Ma ogni volta che io mi trovo vicino al conservatorio dove ho studiato, vedo ancora, come un miraggio magico, quella scena: Vagif che va in fretta con la bambina... E poi, un sorriso alla fi glia: “Non ho dimenticato nulla?”
Le foto di G. Huseynzade fatte un anno prima della scomparsa di Vagif Mustafazadeh